mercoledì 21 marzo 2012

Mezzogiorno di Piombo


Il sud, questo luogo che nei discorsi della nostra classe dirigente sembra distante, quasi come se non facesse parte della nostra vita, la cosa strana è che anche alcuni esponenti dei partiti oggi in parlamento, pur provenendo dalla nostra stessa terra ne parlano come se non la conoscessero. Come se il Mezzogiorno d’Italia fosse un mondo che non gli appartiene. Il Mezzogiorno: granaio dei più floridi imperi del passato, colonna portante della cultura italiana, calamita degl’interessi delle potenti civiltà dei secoli trascorsi e centro del Mediterraneo prima; colonia dei Savoia, terra esportatrice di manovalanza a basso costo, discarica d’Europa e palla al piede poi.

Ci è stato detto che dovevamo essere agricoltori, ci hanno fatto amare la nostra terra, per essa abbiamo versato sangue e sudore, e lei fedelmente ci ha ripagato generosamente con i suoi frutti, mentre i nostri aguzzini l’avvelenavano senza ritegno con i loro rifiuti. Un giorno, uomini dal colletto bianco, hanno comprato le nostre terre e ci hanno detto che era finito il tempo dell’agricoltura, il Mezzogiorno, per svilupparsi, doveva diventare come il nord, terra di opportunità, dove i figli dei contadini fuggivano per diventare operai. Così facemmo, cominciarono a sorgere industrie a macchia di leopardo, poi sorsero interi poli industriali dal nulla, interi comparti delle industrie del nord, soprattutto i più pericolosi per la salute dei cittadini, infestarono come erbacce le nostre terre, avvelenando i nostri fiumi e massacrando il comparto agricolo.

Passa qualche anno, un paio di generazioni, le terre avvelenate non fruttano più come prima, le fabbriche, il progresso di cui si riempivano la bocca quei signori ben vestiti e con le tasche piene di soldi, cominciano a perdere colpi, una ad una crollano sotto il peso di una crisi di cui non conoscevamo le cause, che all’improvviso ci travolge e sembra quasi un terremoto. Uno dopo l’altro quei capannoni che erano diventati casa e prigione di noi operai del sud, noi figli di contadini, divenuti figli dell’officina, ci ritrovammo finalmente liberi, liberi di doverci svendere al miglior offerente, liberi di vivere di espedienti, liberi di credere a qualsiasi promessa pur di non cedere alla disperazione più nera, quella che non ti porta da nessuna parte se non a ritrovarti in una cassa da morto con un livido attorno al collo.

Siamo arrivati nel secondo millennio, carichi di speranze e buoni propositi, ma nella nostra terra, quella che nonostante tutto ancora amiamo, le speranze sono poche. Sono così poche che ormai, noi del Mezzogiorno il lavoro non lo cerchiamo neanche più. Poi un giorno i nostri padri muoiono per colpa dell’amianto o di qualche altro veleno che altri hanno inventato per noi, un giorno arriva la cassa integrazione perché la fabbrica dove hanno lavorato per una vita chiude, un altro giorno il negozio dove i nostri padri hanno investito tutta la loro vita diventa un peso, schiacciato dalla concorrenza dei grandi marchi e delle multinazionali. È quando arrivano quei giorni che il mondo ti cade addosso: come faremo ad andare avanti? Che fine farà la mia famiglia? Come darà da mangiare a mio figlio? Come farò a finire l’università? Che fine ha fatto il mio futuro?

“Quando la ragazza è rimasta incinta quel mio amico è partito volontario, ha fatto il VFP, dice che lì se sei bravo, se fai quello che ti dicono i superiori senza discutere, ti fanno fare carriera, dicono che se vai in missione ti fai i soldi…” I soldi, è proprio quello che ci manca a noi del sud per risolvere i nostri problemi.

Dal Rapporto annuale dell'Esercito Italiano, nel 2010, nell'attività di reclutamento, oltre il 68% dei Volontari in Ferma Prefissata per 1 anno proviene dal Mezzogiorno o dall'Italia insulare. Si parla di circa 14 mila campani, 10 mila siciliani, 8 mila pugliesi, 5 mila laziali, 2 mila sardi. Le stime parlano di un livello di scolarizzazione degli arruolati pari al 21% con licenza media inferiore, il 78% con diploma di scuola media superiore e l'1% in possesso di laurea triennale o quadriennale.

Fare il militare è un modo per sfuggire alla disoccupazione per noi. Siamo costretti a rimanere a casa a fare le sanguisughe, i mammoni, i fannulloni, gli sfigati o ad andare a combattere guerre che non ci appartengono in terre lontane e morire uccisi da chi, come farebbe chiunque, non fa altro che difendere la propria terra dall’invasione del nemico, che dice di portare la democrazia, ma porta solo morte, crudeltà e paura. Li chiamano terroristi, ma nei loro occhi vediamo tutta la disperazione di chi si batte per un futuro che forse, grazie ai fucili che portiamo in braccio, non vedranno mai.

Ci hanno tolto la terra, ci hanno tolto la salute, ci tolgono il lavoro ed in fine ci strappano via la vita e noi dovremmo rimanere in silenzio ed obbedire? Non sarà più così, ci ribelleremo, ed allora le vostre guerre ve le combatterete da soli. I nostri sogni non sono fatti di uranio, petrolio piombo.

 Daniele Procida

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