lunedì 26 marzo 2012

Continuavano a chiamarlo Osvaldo


Sono trascorsi quarant’anni dalla tragica morte di Giangiacomo Feltrinelli, l’ex partigiano che voleva esportare la Rivoluzione cubana in Italia

Il 14 marzo 1972 morì, a Segrate, Giangiacomo Feltrinelli: editore, partigiano e rivoluzionario italiano. Sono passati quarant’anni dal giorno in cui il fondatore dei GAP (Gruppi d’Azione Partigiana), il cui nome di battaglia era Osvaldo, fu ucciso dalla bomba (preparata con l’aiuto di Carlo Fioroni) che tentò di piazzare sotto un traliccio dell’alta tensione, nei pressi di Milano.

Tutt’ora è considerato un personaggio scomodo, come Amadeo Bordiga prima di lui, una specie di “innominabile” negli ambienti della sinistra italiana e non solo. Nel 1944, s’iscrisse al Partito Comunista Italiano e prese parte alla Resistenza contro il regime fascista di Benito Mussolini.

Amico di Fidel Castro volle esportare la Rivoluzione cubana nel Belpaese (le prime azioni ebbero luogo in Emilia e in Liguria). Nel 1968, si recò in Sardegna per incontrare i militanti della sinistra e i gruppi separatisti (Feltrinelli entrò in contatto con il bandito Graziano Mesina), e organizzare così la lotta armata sull’isola.

Nel suo libro, Morì come Che Guevara - storia di Monika Ertl, il giornalista tedesco Juergen Schreiber ha raccontato che era di proprietà di Feltrinelli la pistola (una Colt cobra 38 special) che, impugnata da Monika Ertl il primo aprile 1971, uccise, presso il consolato boliviano ad Amburgo, l’assassino di Ernesto Che Guevara: l’ex colonnello della polizia, Roberto Quintanilla Pereira.

Con tre colpi di pistola, la giovane guerrigliera marcò il corpo del console boliviano con una “V”, che stava ad indicare la parola  “Vittoria”. Sulla scrivania dell’ex poliziotto boliviano, la trentaquattrenne tedesca lasciò un biglietto con scritto “Vittoria o Morte”: il motto dell’ELN (Esercito di Liberazione Nazionale) in Bolivia. 

Nel 1970, dopo la strage di Piazza Fontana (1969), temendo un golpe militare, come accadde in Cile, da parte della destra neofascista italiana, Feltrinelli decise di fondare i GAP. In Il Partito Armato, Giorgio Galli ha spiegato che “la questione delle origini ideologiche del partito armato – il suo marxismo-leninismo – s’intreccia con quella del richiamo alla tradizione antifascista, della quale si sono già viste manifestazioni indicative, dalla terminologia (GAP, Nuova resistenza), alle date scelte per le azioni”.

L’editore nato a Milano il 19 giugno 1926 era, politicamente, vicino al “nucleo storico” delle Brigate Rosse. Come Che Guevara, questi gruppi ribelli credevano che la lotta armata fosse “l’unica soluzione per i popoli che lottano per liberarsi”. Secondo il docente di Storia delle dottrine politiche, essi erano “gli eredi di una tradizione politica che parlava di ‘Resistenza tradita’, cioè di una lotta armata potenzialmente rivoluzionaria che non aveva raggiunto i suoi obiettivi ultimi (uno Stato socialista) a causa della strategia del PCI di Togliatti, definita ‘opportunista’ – gli iniziatori della lotta armata pensavano a un partito che questa lotta avrebbe ripreso e condotto fino al raggiungimento di tale obiettivo, sia pure a lunga scadenza”.

Il conflitto ideologico tra Feltrinelli e il PCI, ha spiegato Galli, aveva un risvolto anche a livello internazionale. Le idee politiche dell’editore milanese erano particolarmente internazionaliste. Egli credeva nell’“esercito internazionale del proletariato”, di cui avrebbero dovuto far parte gli eserciti rivoluzionari latinoamericani, africani e asiatici con a capo quelli del Vietnam, della Corea del Nord, della Cina e dell’URSS. “Se si considera che questo scenario viene evocato proprio mentre più aspro è lo scontro ideologico trai partiti comunisti dell’URSS e della Cina, la tesi […] risulta persino paradossale”, ha scritto lo storico italiano ed ha aggiunto: “si trattava in realtà di una valutazione dell’URSS che aveva profonde radici nella tradizione comuniste alla quale Feltrinelli si riallacciava e che trovava espressione in uomini come Pietro Secchia, già leader (invero alquanto cauto) della cosiddetta ‘ala dura’ del PCI – quella che negli anni Cinquanta ufficialmente condivideva, e a mezza voce criticava, il possibilismo togliattiano”.

Osvaldo fu coerente con le sue idee fino alla fine. A quarant’anni da quel tragico evento, sono ancora forti i dubbi che circondano la sua morte. Alcuni giorni fa, Ferruccio Pinotti ha pubblicato una notizia “stupefacente” sul Corriere della Sera: secondo la perizia medico-legale dell’epoca, il rivoluzionario italiano potrebbe “essere stato aggredito prima dell’esplosione, legato al traliccio con l’ordigno e fatto saltare”. Non si sarebbe trattato di un incidente, quindi, ma di un vero e proprio omicidio.
Scoprire il mandante non sarà impresa facile. Secondo Pinotti, infatti, “sono molti i possibili infiltrati, i «traditori» che possono avere ordito la morte di Feltrinelli ed aver collaborato ad essa: ambigue figure infiltrate nell’entourage dell’editore dal Mossad o dall’intelligence atlantica, con la collaborazione dei Servizi italiani”.

In un articolo del 26 marzo 1972, il settimanale politico Potere Operaio affermò che Feltrinelli fosse stato ucciso “perché era un rivoluzionario che, con pazienza e tenacia, superando abitudini, comportamenti, vizi, ereditati dall'ambiente alto-borghese da cui proveniva, si era posto sul terreno della lotta armata, costruendo con i suoi compagni i primi nuclei di resistenza proletaria”.
Figlio del suo tempo Giangiacomo Feltrinelli rimane un personaggio estremamente affascinante per il suo impegno politico e culturale, nel nostro Paese e all’estero. Rivoluzionario romantico sulle orme di Fidel Castro ed Ernesto Guevara (fu il primo a pubblicare in Italia il diario del Che in Bolivia) volle applicare la guerra di guerriglia sulla nostra penisola. 

Come Giuseppe Garibaldi, tentò di liberare, con l’uso delle armi, la sua Patria da coloro che egli riteneva degli usurpatori. Impotente, come molti suoi compagni, davanti agli accordi stipulati a Jalta da Stalin, Churchill e Roosvelt nel 1945, che divisero il mondo in due blocchi contrapposti, l’ex partigiano italiano morì all’età di quarantacinque anni.  

Vincenzo Iannone

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