giovedì 26 aprile 2012

Cosa è accaduto ieri in piazza Vittorio Veneto





Il giorno 25 aprile in piazza Vittorio Veneto a Salerno l’antifascismo ha dimostrato che l’arroganza dell’amministrazione provinciale e il perpetrarsi dell’ atteggiamento anticostituzionale da parte dei suoi vertici possono essere fermati dalla forza delle idee e della democrazia. Aver liberato la piazza da chi sostiene tale amministrazione, per dare la parola alla partigiana Bianca Bracci Torsi è una grande e storica vittoria, nonché il modo più adatto per onorare la memoria di quanti anteposero la necessità di liberare il paese dal nazifascismo alla salvezza delle proprie vite.

A chi, pur testimone oculare dei fatti, ha inteso mistificare quanto oggi accaduto chiediamo di prendere distanza critica dai fatti e chiarire che l’unico responsabile morale dei momenti di tensione verificatisi oggi in piazza è il presidente della Provincia, Edmondo Cirielli, che per il terzo anno ha provocato gli antifascisti e offeso la memoria collettiva sprecando le risorse della sua amministrazione, e quindi dei cittadini che abitano questa provincia, pubblicando menzogne a spese dei contribuenti.

A chi, come l’assessore Fasolino, rivendica di essere stato socialista in gioventù, ricordiamo che i socialisti sono sempre stati antifascisti, e fino a quando non prenderà le distanze da Cirielli continuerà ad offendere la memoria di Giacomo Matteotti e Sandro Pertini.

Paolo Battista Pdci-Fds
Loredana Marino Prc-FdS
Gianpaolo Lambiase Sinistra Ecologia e Libertà
Francesco Ardolino  Sinistra Critica
Pietro Di Gennaro Usb


Questo è il comunicato stampa congiunto, delle forze politiche e sindacali, che ieri erano presenti al presidio e sentivano il bisogno di esprimere il loro sdegno e la loro disapprovazione per come i media locali hanno riportato la contestazione all'amministrazione provinciale. In oltre il comunicato vuole rispondere alla dichiarazione dell'assessore Fasolino, che, nonostante i suoi presunti valori antifascisti sostiene la giunta del fascista Cirielli.
Infine, siamo infinitamente onorati dalle parole della partigiana Bianca Bracci Torsi che ha pubblicamente ringraziato la piazza per averle fatto passare un 25 aprile come lo desiderava, di lotta e di resistenza al revisionismo nazifascista.

martedì 24 aprile 2012

Comunicato stampa del Salerno-Est: In difesa del 25 aprile


Come circolo di Rifondazione Comunista siamo nauseati dall’ennesimo tentativo revisionista del presidente della provincia Edmondo Cirielli. Il manifesto provinciale, a firma Cirielli, per il 25 Aprile è un tripudio di propaganda fascista e fango contro la Resistenza.

La nostra nazione è fondata sulla Resistenza. La Resistenza non è un concetto astratto, è un gruppo di persone che ha combattuto l’oppressore Nazi-fascista, ed è grazie a questo che possiamo festeggiare liberamente il 25 aprile. I partigiani hanno liberato l’Italia dal giogo del fascismo, ed è un atto di disinformazione, ad esser buoni,
voler sminuire la portata degli atti della Resistenza e della dittatura Fascista

Uno dei punti più vili del manifesto è la comparazione di tutte le vittime della liberazione. Una comparazione pietosa considerando che
chi è morto per la libertà non è uguale a chi è morto per l’oppressione. Festeggiamo la liberazione e non la restaurazione, per fortuna.

Intimiamo al presidente Cirielli di rinunciare al tentativo revisionista che porta avanti oramai da 3 anni, ricordandogli che sappiamo ancora distinguere tra falso e vero e che la misura delle sue ingiurie è colma, come è colma la misura della nostra pazienza.

Per tutti questi motivi, ricordando che un presidente della provincia deve essere il presidente di tutti. Ricordando che il lavoro di Cirielli potrebbe configurarsi come apologia di Fascismo che, per fortuna, è ancora un reato. Ricordando che contestiamo l’intero lavoro politico della provincia. Chiediamo a gran voce le
immediate dimissioni di Cirielli

Invitiamo tutta la cittadinanza a partecipare alla manifestazione di mercoledì 25 alle ore 9.00 a piazza ferrovia, per ricordare il sacrificio dei Partigiani e per ricacciare al mittente ogni tentativo di riscrivere la storia.

qui il manifesto di Cirielli

Lorenzo Moscariello

lunedì 23 aprile 2012

Chi Ha Paura dei Cervelli?


C’era una volta un sogno: un paese dove tutti potessero avere le stesse possibilità di formazione, dove tutti potessero avere accesso ad una scuola pubblica di qualità, dove tutti, di qualsiasi colore fosse la loro pelle, da qualsiasi quartiere provenissero e qualunque fosse la loro condizione economica avrebbero avuto la garanzia di riceve gli strumenti necessari a realizzare le proprie idee, i propri sogni, i propri progetti.

Oggi, il Ministero dell’Istruzione, cerca di distruggere questo sogno e di smantellare quella scuola pubblica che tanto avevamo sognato di vedere libera, gratuita e per tutti. L’ultimo, e forse il più terribile strumento di distruzione di questo sogno sono i QUIZ INVALSI: una serie di quiz a risposta multipla che secondo il Ministero servirebbero a valutare la qualità dell’istruzione degli studenti meglio di quanto fanno giorno per giorno gl'insegnanti.

Questa però è l’unica faccia della medaglia che vogliono farci vedere.
I Quiz Invalsi hanno due intenti, neanche troppo nascosti:
- Affamare la scuola pubblica: Se una scuola non raggiunge un determinato risultato la struttura perderà il finanziamento statale e sarà costretta a licenziare in blocco l’intero personale della struttura, la trasformazione dell’istituto in una scuola finanziata da privati.
- Distruggere l’offerta formativa: A causa del continuo ricatto, presidi ed insegnanti, terrorizzati dalla possibilità di perdere il lavoro a causa di un ridicolo quiz, mettono da parte il programma, costringono gli studenti a comprare un libro dove sono presenti tutte le domande che potranno trovare durante la prova e si trasformano in addestratori, facendo venire meno lo strumento principale della scuola, la creazione di pensiero critico.

Cosa si può fare per evitare tutto questo? Semplice! BOICOTTARE!

I Quiz Invalsi NON è obbligatorio e NON è illegale rifiutarsi di somministrarlo o compilarlo.
Per questo i Cobas, insieme a Rifondazione Comunista e la Rete della Conoscenza hanno lanciato una campagna di boicottaggio contro lo smantellamento dell’istruzione pubblica per tutti.

Daniele Procida

sabato 21 aprile 2012

I giornali online e la lotta di classe


La nascita di giornali comunisti online potrebbe essere il modo
 migliore per sostenere la lotta politica della sinistra in Italia.

Durante il regime fascista, Benito Mussolini adoperava la violenza per zittire i dissidenti politici. Diverse testate giornalistiche, come l’Avanti! e l’Unità, furono costretti alla clandestinità.

Oggi, il governo italiano adotta riforme economiche reazionarie per tappare la bocca a chi critica le sue politiche neoliberiste.
Giornali storici appartenenti alla Sinistra italiana, come il manifesto e Liberazione, che hanno sempre dato voce alla classe lavoratrice, rischiano di chiudere a causa dei tagli da parte dello Stato ai fondi destinati all’editoria.

La loro chiusura rappresenterebbe un duro attacco alla democrazia e al pluralismo dell’informazione in Italia. I lavoratori potrebbero essere privati della possibilità di vedere espresse le loro opinioni e le loro idee su tutto ciò che riguarda il loro paese;  subirebbero, così, l’ennesima ingiustizia.

In La libertà di stampa e la classe lavoratrice, Leon Trotsky ha scritto che “la teoria, come l’esperienza storica, dimostrano che ogni restrizione alla democrazia in una società borghese, è, infine, diretta contro il proletariato, così come le tasse cadono, infine, sulle spalle del proletario”.

Le politiche economiche sull’editoria da parte del governo sembrano non rispettare la Costituzione italiana. L’articolo 21 afferma che “tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione”.

Il governo italiano non fa altro che tutelare gli interessi della classe dominante a discapito dei lavoratori. Nei panni del boss-watchdog, tenta di togliere il diritto di stampa a una parte della sinistra italiana, con riforme economiche neoliberiste e antidemocratiche.

Come hanno denunciato fortemente Noam Chomsky ed Edward S. Herman in La fabbrica del conenso, nei paesi in cui vige un sistema economico di tipo capitalistico, “la finalità sociale dei media è […] di inculcare e difendere i progetti economici, sociali e politici dei gruppi privilegiati che dominano la società e lo stato”.

Nel loro libro, i due studiosi statunitensi hanno teorizzato il modello di propaganda: un processo quasi “orwelliano” consistente in cinque “filtri” in grado di dare ai potenti la possibilità di controllare le notizie, fare  il lavaggio del cervello e trasmettere al popolo le loro ideologie, creando, così, una società a loro immagine e somiglianza.

Non c’è da stupirsi, se si pensa che, nel 1846, in L’ideologia tedesca, Karl Marx e Friedrich Engels hanno spiegato che “l’ideologia dominante è sempre stata l’ideologia della classe dominante”.

Il giornalista che si opporrà a questo sistema classista e corrotto avrà il compito di dar voce alla classe lavoratrice. Egli sarà considerato una sorta di partigiano dell’informazione. Sulle orme del Comitato di Liberazione Nazionale, condurrà una vera e propria resistenza in difesa dell’articolo 21 della Costituzione, che fu fondata, appunto, sugli ideali della Resistenza antifascista in Italia.

In un paese in cui le lotte dei lavoratori e di chi li rappresenta, spesso e volentieri, vengono emarginate dai media borghesi e ignorate dai cittadini, il giornalista – partigiano dovrà portare avanti una battaglia dai toni quasi cavallereschi.

In La penna può essere anche una spada, il Subcomandante Marcos ha scritto: "se c'è chi ha fatto della penna una spada, che faccia scintillare l'aria con il suo fulgore, che si nobiliti segnalando le nostre ferite, che parlando di noi ci renda parte di un rompicapo che domani sarà un mondo a cui non mancherà né la memoria né la vergogna. Perché entrambe, la memoria e la vergogna, sono quelle che ci rendono esseri umani".

Se il campo delle telecomunicazioni è diventato, in questi ultimi anni, una sorta di “terreno sfavorevole” per la sinistra italiana, Internet (la cui invenzione è paragonabile, dal punto di vista rivoluzionario, a quella di Johann Gutenberg) potrebbe diventare il “terreno favorevole” per diffondere le sue idee tra le masse. Secondo l’Istat, nel 2011, il 51% degli italiani ha usato la rete “per documentarsi su temi di attualità, consultando, leggendo o scaricando giornali, news e riviste”.

In Italia, dove le politiche neoliberiste del governo inaspriscono sempre di più il conflitto tra le classi sociali, la nascita di giornali comunisti online potrebbe essere il modo migliore per condurre una lotta di classe, che diventa ogni giorno sempre più accesa.
 
In La guerra di guerriglia, il Comandante Ernesto Che Guevara ha scritto: “riteniamo utile che il giornale fondamentale del movimento porti un nome che ricordi qualcosa di grande e di unificatore, il nome dell’eroe del paese o qualcosa del genere, e spieghi sempre in articoli di fondo la meta verso cui sta andando il movimento […], formi la coscienza dei grandi problemi nazionali e tenga, inoltre, una serie di rubriche di vibrante interesse per il lettore”.

Informare i militanti, gli studenti, i lavoratori e i cittadini in generale è il miglior modo, secondo me, per unire il movimento e avere maggiore consenso popolare. La classe lavoratrice, indottrinata, potrebbe avere maggiore coscienza di sé e della propria forza politica. Per questo motivo, bisogna creare due, tre, molti giornali comunisti online.

Vincenzo Iannone 

giovedì 19 aprile 2012

VOGLIAMO TUTTO! Democrazia, reddito di cittadinanza, lavoro.

Il partito della Rifondazione Comunista, insieme ai lavoratori precari della CSTP e i lavoratori ex-isochimica, ha messo in piedi la piattaforma politica per quello che, si spera, sarà finalmente un corteo del primo maggio Salernitano, colorato e partecipato.
Corteo che racchiuderà in se sia tutte le problematiche e le vertenze dei lavoratori salernitani sia tutte le forze per poter cambiare questo stato di cose.

Loredana Marino, segretario provinciale del PRC salernitano, ha dichiarato: “Rifondazione comunista ha scelto di stare con la base, con i lavoratori e le lavoratrici che sono le prime vittime delle riforme ingiuste attuate dalla tecnocrazia del governo Monti”
Oltre ad appoggiare tutte le vertenze in campo si chiederà con forza l’istituzione del reddito di cittadinanza, unico strumento reale a protezione delle fasce più deboli, si ribadirà la necessità di una patrimoniale sui beni immobili oltre un milione di euro e l’istituzione della tobin tax per tassare i grandi speculatori finanziari.

A Salerno da tempo non si vedeva una forte mobilitazione di questo tipo per la festa dei lavoratori. Dalle molte adesioni fin ora ricevute, la prospettiva è quella di una grande mobilitazione cittadina.
Oltre alle sigle proponenti hanno aderito al corteo i COBAS, l’USB e gli idraulici Forestali. In più ci sarà una delegazione dell’irisbus di Avellino
Ognuna di queste realtà  porta con se un bagaglio di problematiche complesse ma che non possono essere superate se ognuno viene lasciato solo.
Usando le parole del presidente del comitato dei precari del CSTP Ernesto Barbera:  “noi siamo un diamante con più facce, un diamante perché siamo duri e preziosi. Vogliamo fare la nostra parte e se la facessero tutti forse sarebbe diverso”

Il movimento che si sta costruendo intorno a questo evento è proprio questo, in gioco ci sono le sorti di molti lavoratori che hanno capito che bisogna unirsi per vincere. Ognuno con le proprie singolarità ma cosciente di far parte di una rete che deve essere salvezza e protezione.
Noi ci saremo per ribadire che il lavoro non è merce ma dignità, non un regalo ma un diritto.

Lorenzo Moscariello 

lunedì 16 aprile 2012

Dalla nascita dello stato d'Israele agli accordi di Camp David

-Le origini del conflitto israelo-palestinese (1parte)


Dopo la fine della seconda guerra mondiale lo scenario politico in Palestina si presentava molto confuso: i rapporti tra sionisti e britannici si erano nuovamente inaspriti per i limiti alle immigrazioni ebraiche, il Mossad introdusse clandestinamente in Palestina circa 250 000 ebrei, emblematico è il caso Exodus dove 58 delle 63 navi contenenti clandestini furono intercettate dalla Gran Bretagna; la crescita del Sionismo Revisionista portò ad una radicalizzazione del conflitto che diede vita ad una spirale di violenza con continui attacchi terroristici da parte dell'Irgun e della neonata Banda Stern; la nascita della Lega Araba (composta da Siria, Arabia Saudita, Libano, Egitto, Transgiordania e Iraq) rendeva la Palestina appetibile anche per i paesi Arabi.

I continui attacchi terroristici da parte dei gruppi sionisti costrinsero la Gran Bretagna a chiedere l'internazionalizzazione del "caso Palestina" e a tal proposito fu istituita una speciale commissione d'inchiesta(Unscop) che suggerì alle Nazioni Unite un piano di spartizione:la fine del mandato britannico in Palestina e la creazione di due stati sovrani e indipendenti,uno arabo e uno sionista, con l'unica eccezione della città di Gerusalemme che sarebbe stata sottoposta ad un'amministrazione internazionale. Tale proposta trovò favorevoli le due principali potenze, Stati Uniti e Unione Sovietica e il piano venne approvato(dando vita alla risoluzione Onu n.181) il 29 novembre del 1947 con 33 voti a favore, 13 contrari e 10 astenuti(tra cui la Gran Bretagna) ma incontrò il più totale rifiuto da parte dei governi dei paesi arabi, pronti a contrastare con la forza la nascita di uno Stato sionista.

La Gran Bretagna lasciò la Palestina 15 giorni prima del suo mandato (1 maggio 1948) ma nel frattempo le forze sioniste avevano preso il controllo dei principali punti strategici con una serie di operazioni militari (il Piano Dalet) che videro anche veri e propri massacri come quello del villaggio Deir Yassin dove furono barbaramente uccisi 254 palestinesi. Il 14 maggio 1948 alle ore 16 (esatta scadenza del mandato britannico), Ben Gurion annuncia la nascita dello Stato d'Israele che fu immediatamente riconosciuto da Stati Uniti e Unione Sovietica, poche ore dopo la Lega Araba decise di invadere i territori del nuovo Stato dando vita a quella che per gli israeliani è la "guerra d'indipendenza" e per i palestinesi rappresenta la "nakba"(disfatta). Israele con l'ausilio delle armi arrivate dall'occidente uscì vittoriosa dalla guerra, negoziando armisitizi separati(con Siria, Egitto, Giordania e Libano nella Conferenza di Rodi del 1949) che portarono all'occupazione di nuovi territori rispetto ai precedenti accordi, dall'altra parte consegnò la Striscia di Gaza nelle mani dell'Egitto e la Cisgiordania nelle mani della Giordania, dimostrando ancora una volta quanto il popolo Palestinese rappresentasse solo una pedina, privata di ogni diritto.

La guerra fece emergere diversi aspetti contraddittori che sfaldarono il fronte dell'unità araba, i contrasti tra chi voleva l'annessione alla Giordania e chi voleva uno stato indipendente(ci fu anche l'assassinio del Re Abdullah di Giordania per mano di un palestinese), il problema dei profughi e di quanto i paesi arabi fossero realmente disposti ad accoglierli, infine l'aumentare dell'importanza dello Stato d'Israele nello scacchiere politico internazionale con l'ammissione nell'Onu avvenuta nel marzo del 1949. La dimostrazione di questa crescita ci fu quando la Francia e la Gran Bretagna chiesero l'aiuto allo Stato sionista per attaccare l'Egitto di Nasser, reo di aver nazionalizzato la Compagnia del Canale di Suez, nel 1956. La Guerra del Sinai, durata pochi giorni, vide una vittoria schiacciante delle forze guidate da Israele costretta però a restituire i territori occupati durante l'offensiva ottenendo in cambio il libero passaggio dal golfo di Aqaba e dallo stretto di Tiran.
Nel fronte Palestinese cominciava a svegliarsi una forte coscienza politica e s'intravedeva una voglia di  indipendenza rispetto agli altri paesi arabi anche da parte dei profughi, che portò alla costituzione di Al Fatah, nel 1959. Colti tali segnali ci furono diversi tentativi di tenere sotto controllo la spinta politica palestinese, prima da parte del leader Iracheno, Kassem, che propose strumentalmente di formare un governo palestinese in esilio e poi dallo stesso Nasser che nel 1962 concesse una costituzione al territorio di Gaza sotto il controllo però di un governatore generale egiziano dotato di ampli poteri, nonostante questo nel maggio del 1964 nacque l'Organizzazione per la liberazione della Palestina(Olp) con l'obiettivo di riunire tutte le forze politiche(tra cui Al Fatah) divise nelle ideologie ma come obiettivo comune la nascita di uno Stato Palestinese e il contrasto del sionismo e della sua carica violenta e razzista. Questo progetto trovò l'approvazione dell'Urss che, per bocca di Krusciov, sosteneva la causa araba come lotta antimperialista e antisionista.

Le cose continuarono a degenerare e il preludio ad una nuova guerra fu rappresentato da due episodi in particolare: nell'aprile 1967 l'aviazione israeliana abbattè sei aerei siriani mentre a maggio ci fu la chiusura da parte dell'Egitto dello stretto di Tiran. Si apriva così la Guerra dei Sei giorni(dal 5 al 10 giugno 1967) che segnò in modo indelebile la questione Palestinese, un'altra vittoria militare di Israele che estese ulteriormente i propri confini. In seguito a tali eventi, le Nazioni Unite, nel novembre del 1967, approvarono la risoluzione n.242 che prevedeva il riconoscimento e il rispetto per la sovranità, l'integrità territoriale e l'indipendenza politica di ogni Stato dell'area e la necessità di operare per una pace giusta e permanente. Tale risoluzione mostrava la propria ambiguità sulla questione dei territori occupati, non era chiaro se il ritiro israeliano dovesse essere da tutte le zone occupate (come diceva la versione francese) o solo da alcune (versione britannica), fatto sta che questa risoluzione fu rifiutata da tutte le forze coinvolte e Israele arbitrariamente mantenne l'occupazione sulla Striscia di Gaza, Cisgiordania, Gerusalemme Est e sulla Penisola del Sinai. Inoltre, la Guerra dei Sei Giorni vide mutare notevolmente lo scenario politico su entrambi i fronti: sul fronte Palestinese si vede l'entrata in scena nella striscia di Gaza dei Fratelli Musulmani e la nascita del Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina (FPLP) di ispirazione Marxista-Leninista (successivamente ci sarà la scissione del Fronte Democratico) ad opera di George Habash, che diedero ulteriore portata internazionale alla causa Palestinese dandone anche diverse letture, invocazione della guerra santa per i Fratelli Musulmani, lotta politica e sociale per il FPLP; anche sul fronte israeliano c'è stata l'ascesa dei  movimenti di estremisti religiosi come il Gush Emunium(Blocco della Fede). Anche gli altri paesi arabi ne uscirono profondamente mutati, soprattutto il fronte di solidarietà incondizionata si spaccò in maniera significativa tanto da portare gli stessi paesi ad accusarsi gli uni con gli altri, tuttavia rimaneva irrisolta la questione dei profughi palestinesi.

Gli anni tra il '67 e il '73 furono contornati da una serie di episodi(dirottamenti di aerei, attacchi e violazioni) che videro anche la nascita di una serie di frizioni interne al movimento palestinese come le scissioni dal FPLP e la nascita di Al Saiqa in piena lotta con l'Olp guidato da Yasser Arafat. Dopo una serie di attacchi condotti dal Fplp contro la Giordania, Re Hussein nel settembre 1970, rispose con una violenta repressione per scacciare i palestinesi causando migliaia di morti. Il cambiamento della strategia egiziana dopo la morte di Nasser e l'ascesa di Sadat, portò nel 1972 a cacciare via dall'Egitto tutti i tecnici sovietici cercando di ricostruire un fronte unicamente arabo contro Israele, avanzando, l'anno dopo, la richiesta allo stesso Israele di restituzione del Sinai. Proprio nel settembre dello stesso anno, Egitto, Siria e Giordania trovarono l'accordo per sferrare un attacco contro Israele con l'appoggio di un finanziatore molto particolare e nuovo sulla scena, il nuovo leader libico Gheddafi, la principale difficoltà d'Israele veniva però dalle sommosse interne studentesche e religiose.

L'attacco fu sferrato il 6 ottobre del 1973 durante la festività ebraica del Kippur e colse totalmente impreparate le forze israeliane che, complice l'incertezza dell'azione araba, recuperò presto il controllo e passò al contrattacco nel Sinai sotto la guida del generale Ariel Sharon, ma l'accordo raggiunto dai paesi dell'Opec di alzare il prezzo del petrolio ai paesi filoisraeliani costrinse le grandi potenze a fermare l'attacco dello stato sionista(28 ottobre). L'Onu con la Risoluzione n.338 ribadiva i punti della n.242 ma con una differenza, per la prima volta chiedeva negoziati diretti che conducessero ad una pace "durevole e giusta". Il percorso successivo vide importanti accordi tra Israele ed Egitto, quelli di Camp David nel 1978, che condussero ad un trattato di pace (26 marzo 1979) dove Israele restituì all'Egitto la penisola del Sinai.
Tali accordi non ebbero però molta stima negli altri paesi e fu presa una posizione di rifiuto da parte delle altre forze interessate, tanto che Sadat fu ucciso nel 1981 da un gruppo legato ai Fratelli Musulmani. Lo scenario poltico cambiava ancora una volta con Israele che guadagnava un nuovo alleato tra i paesi arabi.

Leo Canale

sabato 14 aprile 2012

Le origini del conflitto israelo-palestinese



Il conflitto Israelo-Palestinese trova le sue origini in due eventi principali: la nascita del sionismo e la fine dell'impero Ottomano.
Il Sionismo è un movimento politico che nasce alla fine dell'800 e che vede come fondatore Theodor Herzl, giornalista ungherese, l'obiettivo era di dare una nazione al popolo ebraico (inizialmente erano diverse le possibili destinazioni) e per realizzarlo si cercavano sponde tra le potenze occidentali. Attraverso il Congresso Sionista Mondiale, il Fondo Nazionale Ebraico e l'Agenzia Ebraica, Herzl finanziò ed organizzò sia i flussi migratori di ebrei in Palestina (aliyot) sia l'acquisizione dei terreni per gli insediamenti. Il primo flusso(aliyah) avvenne nel 1882 e non fu organizzato dal Congresso Sionista, mentre la seconda aliyah (che va dal 1904 al 1914) fu organizzata dal Congresso e vide l'arrivo in Palestina di ebrei ashkenaziti, provenienti dall'Europa orientale, che successivamente diventeranno i cosiddetti  "padri della patria", tra cui Ben Gurion. Questi nuovi insediamenti erano organizzati in "kibbutz", piccole comunità autonome basate sulla collettivizzazione della terra e con un proprio sistema di autodifesa. Non erano ancora visti come un vero e proprio pericolo mentre le cose cambieranno radicalmente con l'arrivo dei ceti medi e dell'alta borghesia, che porteranno ad una nuova teorizzazione del sionismo, cardine dell'attuale destra israeliana.

Nel frattempo, nei territori limitrofi, erano nati diversi movimenti che volevano il distaccamento dall'impero Ottomano, dove, britannici e francesi da una parte fomentavano le rivolte con false promesse (come la creazione di un grande Stato Arabo indipendente formato da tutte le ex provincie ottomane) e dall'altra chiudevano l'accordo Sykes-Picot, che tracciava le linee della spartizione del Medio Oriente tra le due potenze. La Francia avrebbe ricevuto il mandato sulla Siria (Libano compreso) e la Gran Bretagna su Iraq e Palestina.
L'accordo Sykes-Picot(ufficializzato con la Conferenza di Sanremo) e la conseguente dissoluzione dell'idea di un grande Stato Arabo formato da tutte le ex provincie ottomane, rappresentarono un ulteriore passo avanti per il movimento sionista nel dialogo con le potenze occidentali. Infatti la "dichiarazione di Balfour"(Segretario per gli Affari Esteri Britannico) nel 1917, inviata al presidente onorario della Federazione Sionista, affermava che il governo Britannico vedeva con favore la fondazione in Palestina di un "focolare nazionale per il popolo ebraico", con l'obiettivo di occupare la Palestina per sottrarla al controllo della Francia nella spartizione del Medio Oriente da parte delle potenze europee. Tale dichiarazione rientrava tra gli obblighi della Gran Bretagna per ottenere il mandato sulla Palestina.

In questo contesto avviene la divisione dei territori della stessa in due "stati", uno ad est del Giordano ed uno ad ovest. Appare chiaro come il popolo Palestinese sia vittima di un vero e proprio "Risiko" giocato sulla sua pelle, le ripercussioni si avvertono soprattutto nel campo sociale ed economico dove la differenza di reddito tra le due diverse comunità (circa il doppio quello della comunità ebraica rispetto alla palestinese) e i continui flussi migratori diedero vita ad una serie di sommosse tra gli anni '20 e '30 che portarono ad una prima forma di guerriglia organizzata ad opera dello sceicco Al Qassam. Si avvertiva quindi la necessità di dare una connotazione politica alla lotta e questo percorso portò alla costituzione, nel 1932, dell'Istiqlal, il partito dell'indipendenza araba, per mano dello stesso Al Qassam. Lo scenario muta notevolmente, l'ostilità verso il mandato britannico e verso nuovi flussi migratori portarono ad uno sciopero generale ad oltranza e a quella che fu la Grande Rivolta Araba del 1936-39, molto diversa dai precedenti moti di rivolta in quanto frutto di quella carica politica che porterà a mettere in discussione l'intera borghesia Palestinese.
L'aspetto più interessante che la rivolta mostrò fu proprio l'intolleranza mostrata nei confronti del notabilato arabo, reo di collaborare con gli inglesi, che ne uscì notevolmente indebolito e perse il controllo che aveva sul popolo palestinese. Il notabilato palestinese era stato anche in passato uno dei principali ostacoli per la costruzione di un movimento organizzato (anche per screzi interni tra famiglie) e le rivendicazioni di classe che la Grande Rivolta portava con sè misero seriamente in discussione la classe dirigente palestinese, individuandola come nemico al pari dei britannici.
Anche lo scenario Sionista stava subendo delle mutazioni, l'arrivo dei ceti medi e il conseguente sviluppo del Sionismo revisionista portarono ad una radicalizzazione violenta del conflitto, non è casuale la nascita nel 1931 dell'Irgun, braccio armato del Sionismo Revisionista, che si macchiò di una serie di uccisioni di arabi soprattutto tra il '37 e il '39.

 La situazione cominciava a diventare davvero complessa da gestire e la reazione britannica non si fece attendere, da una parte l'Alto commissario britannico dichiarò fuorilegge tutte le associazioni arabe di Palestina e dall'altra con il Libro Bianco di Mac Donald nel '39 ci furono restrizioni nei confronti dell'immigrazione ebraica. Il tentativo di "ripristinare l'ordine" da parte della potenza mandataria ebbe un risultato nefasto, dato che la risposta Sionista al Libro Bianco fu la creazione di un ente che si occupasse dell'immigrazione clandestina, il Mossad. I rapporti tra britannici e sionisti migliorarono notevolmente quando tra il 1940 e il 1945 gli ebrei di Palestina si unirono alle forze alleate per combattere la Germania mentre il muftì di Gerusalemme(scappato in Germania) si unì con le sue truppe all'esercito nazista.
Si apriva così il percorso che portava verso la nascita dello Stato d'Israele e verso la spirale di violenza che vede il popolo Palestinese come vera e unica vittima in un cerchio di fuoco che vede i sionisti, l'occidente e la classe dirigente locale come protagonisti.

Leo Canale

venerdì 13 aprile 2012

Apriamo Il Confronto Nel Rispetto delle Differenze


Riportiamo un articolo pubblicato dal Manifesto del 11 aprile

Il Manifesto per un nuovo soggetto politico pubblicato qualche giorno fa, ha il merito di aver aperto il dibattito su un problema politico intorno al quale di arrovelliamo e ci dividiamo da anni. Ne sono indice le reazioni di De Magistris, Castellina, Rossanda e altri, di cui condivido gran parte delle critiche. Non ritengo però che i dissensi debbano oscurare la necessità di discutere del problema centrale posto dal manifesto stesso.


Innanzitutto a me pare necessario costruire un nuovo spazio pubblico della democrazia, che si ponga l’obiettivo di diffondere il potere e non di concentrarlo. Così come ritengo necessario costruire un nuovo soggetto politico – di sinistra – che metta l’accento sull’inclusione, sulla struttura confederale e non piramidale. Ovviamente ritengo necessarie anche tante altre cose: che nell’attuale furibonda lotta di classe scatenata dall’alto occorra schierarsi da una parte; che occorra dar vita ad una soggettività politica che si opponga al neoliberismo con l’obiettivo di uscire da sinistra dalla crisi; che occorre rovesciare il disegno costituente del governo Monti dando vita ad una opposizione costituente.



Ritengo cioè necessario costruire una sinistra di alternativa che determini un processo di aggregazione politica ma anche un processo di costruzione di una soggettività di massa, che superi l’atomizzazione e l’isolamento, la disperazione sociale. Non si tratta cioè solo di costruire un nuovo soggetto politico, si tratta di aggregare un sentire comune più largo, un “nuovo movimento operaio”. Esemplificando occorre fare in tutta Italia quello che è stato fatto in Val di Susa, dove l’opposizione alla TAV è stata il punto di partenza per la costruzione di una nuova soggettività sociale e politica che non esisteva prima. Un processo costituente per l’appunto, che uscendo dalla asfissiante dialettica tra berlusconiani ed antiberlusconiani, scompagini le carte interloquendo a 360° con quel 90% di popolazione italiana che viene colpita dalla crisi. Condivido quindi l’esigenza di dar vita ad un processo di aggregazione antiliberista basato sulla partecipazione non burocratica e sul protagonismo dei soggetti.

Una soggettività politica di tal fatta, per essere efficace, deve avere dimensioni quantitativamente maggiori rispetto alle attuali forze politiche di sinistra ma anche caratteristiche qualitativamente diverse dai progetti finora in campo. Anche per questo non può avere le caratteristiche classiche del partito. Oggi i modi e le forme in cui gli uomini e le donne fanno politica è assai variegata e non è possibile ricomprendere questa articolazione attraverso la sola forma partito. Il problema è costruire una forma politica unitaria antiliberista che rispetti i percorsi e le autonomie – individuali e collettive – e le valorizzi costruendo una sinergia tra di esse. Per questo condivido l’idea di una soggettività politica confederata, articolata e - aggiungo io - unitaria. Per centinaia di migliaia di uomini e donne oggi è pensabile far politica solo all’interno di un soggetto che sia percepito come unitario. A me pare che i processi rivoluzionari latinoamericani - che segnano indubbiamente il punto più avanzato di lotta per l’uscita dal neoliberismo - parlino di questo: non l’idea del partito unico ma la costruzione di fronti, coalizioni, convergenze. Lo stesso linguaggio parlano alcune delle esperienze più interessanti che si possano incontrare in Europa: da Izquierda Unida in Spagna al Front de Gauche francese, che si sta caratterizzando come la vera novità politica delle presidenziali d’oltralpe e che fa esplicito riferimento all’esperienza latinoamericana. In tutte queste esperienze – di cui segnalo l'internità all’esperienza della Sinistra Europea - convivono partiti, associazioni, movimenti, singole persone che trovano nella formula del “fronte” una appartenenza non soffocante. Uomini e donne, compagni e compagne che trovano uno spazio comune di cui sentono un grande bisogno, senza che questa appartenenza diventi totalizzante, esclusiva. In qualche modo occorre costruire una forma organizzata che abbia soglie d’ingresso “più basse” di quelle di un partito e possa quindi avere una efficacia maggiore nell’organizzazione di una partecipazione politica di massa.


Se questo è vero, è necessario rivolgere questa proposta politica al complesso dei soggetti che in questi anni si sono mossi a sinistra. Sul piano sociale penso ai lavoratori e alle lavoratrici che hanno animato in conflitto di classe in Italia. Penso al popolo dell’acqua pubblica e dei beni comuni. Penso ai precari del movimento No Debito come al popolo NO TAV. Così come sul piano politico penso alle forze politiche che si oppongono al governo Monti, dall’IdV a Sel alla Federazione della Sinistra e a tutte le formazioni alla sua sinistra. Per costruire un nuovo soggetto politico che non sia l’ennesimo partito tra gli altri, occorre allargare la sfera dei soggetti sociali e politici a cui la proposta è rivolta. Non può lasciare fuori dalla porta la questione di classe e la Fiom, così come non può non coinvolgere le forze politiche che oggi fanno politica a sinistra. Se il punto fondante di un nuovo soggetto è la densità partecipata di un nuovo spazio pubblico, le modalità della sua costruzione non possono che essere coerenti con questo principio. Sottolineo il carattere radicalmente democratico che dovrebbe contraddistinguere una soggettività politica come quella che propongo. Le centinaia di migliaia di uomini e donne che potenzialmente potrebbero ritrovarsi in un soggetto unitario della sinistra antiliberista devono poter decidere sul serio, sulla base del principio "una testa un voto" e anche attraverso strumenti di democrazia diretta come il referendum sulle scelte fondamentali.


Da ultimo il problema del pluralismo nella costruzione del nuovo soggetto politico. Come ho sottolineato, condivido il punto centrale della proposta pur senza condividere il manifesto nel suo insieme. Voglio però sottolineare che le differenze che vedo – e anche quelle che intravedo – sono molto rilevanti ma non tali da indurmi a ritenere impossibile il progetto di un percorso comune nel suo carattere partecipato e quindi unitario. La scommessa che abbiamo di fronte oggi non è quella di mettere insieme chi la pensa nello stesso modo su tutto. Questo ha dato vita ad una miriade di organizzazioni ad al contemporaneo ridursi degli appartenenti alle stesse. La scommessa odierna è quella di costruire – sulla base di una prospettiva antiliberista - uno spazio pubblico plurale in grado di portare al confronto e all’impegno politico quelle centinaia di migliaia di persone che oggi vogliono impegnarsi. Non vedo contraddizioni al fatto che a questo processo possano partecipare gli iscritti e le iscritte a Rifondazione Comunista, i sindaci e i movimenti No Tav della Val di Susa, i compagni e le compagne delle diverse sinistre sindacali o gli scout che hanno partecipato alla campagna per l’acqua pubblica. Occorre costruire un progetto unitario a cui ognuno ed ognuna possa partecipare a partire dalla propria esperienza e della propria organizzazione. 



Da comunista mi sono battuto contro la liquidazione di Rifondazione Comunista; lavoro per lo sviluppo del suo progetto politico, per la sua qualificazione e per la crescita della sua dimensione di partito sociale. Non vedo contraddizione tra questo impegno e la possibilità di portare il nostro punto di vista dentro una soggettività più larga. Il punto di fondo oggi consiste nell’accettazione della parzialità di ogni nostra esperienza politica e quindi la comprensione della necessità della coalizione, dell’aggregazione plurale, che definisca l’essenziale che ci unisce per lasciare fuori dalla porta quello che ci divide. Sottolineo questo aspetto perché sono troppo numerosi i tentativi falliti di costruire il soggetto politico “nuovo” per poi riprodurre il peggio dei vizi politici che vogliamo superare. Io penso che il difetto stia nel manico: solo una forma politica articolata e rispettosa delle differenze – di posizioni ma anche di modi e ambiti di fare politica – può oggi determinare un processo di aggregazione antiliberista. Ogni altro processo che si ponga in modo esclusivo e non inclusivo come il “vero” soggetto nuovo ed unitario, è destinato a ricostruire recinti che producono frustrazioni più che liberare soggettività.

A partire da queste considerazioni la proposta che avanzo è quella di aprire una discussione tra i promotori del manifesto, i soggetti politici esistenti e tutti i compagni e le compagne interessati ad una prospettiva unitaria. Ritengo infatti che la cosa più ridicola che può succedere a sinistra sia la proposizione di diversi progetti unitari tra loro in concorrenza. Guardo con speranza alle esperienze del Front de Gauche o di Izquerda Unida e mi piacerebbe pensare che qualcosa di simile sia possibile farlo anche in Italia.

Paolo Ferrero

mercoledì 11 aprile 2012

Stamm a per!

Mercoledì 11 aprile Salerno si è bloccata. Dalle 9 del mattino fino alle 14.30 una marea di studenti, lavoratori e, anche, bandiere rosse ha invaso il corso, il lungomare e via Roma. Un corteo colorato che ha chiesto a gran voce un trasporto pubblico efficiente, fianco a fianco ai lavoratori del CSTP che rischiano il posto di lavoro. 

In testa al corteo una bara per annunciare la morte del trasporto pubblico salernitano, in coda un autobus di cartone costruito e portato in spalla da alcuni compagni di Cava dei tirreni, in mezzo un migliaio tra studenti e lavoratori. 


Il corteo, partendo da piazza ferrovia si è prima fermato di fronte la Provincia chiedendo a gran voce le dimissioni di Cirielli, ha poi continuato sostando di fronte il palazzo del Comune urlando, questa volta, contro De Luca, per poi fermarsi definitivamente di fronte la prefettura occupando la piazza antistante.

La protesta è andata avanti per altre due ore, con una assemblea autorganizzata al centro della piazza.
Intanto il prefetto ha accettato di incontrare le sigle sindacali dei lavoratori del CSTP, dopo un po’ è arrivato anche l’assessore Ciccone. 


L’attesa è stata lunga, più di un ora, fino a quando i tre sindacalisti sono usciti annunciando due tavoli, uno tra sindacati e regione, e l’altro tra prefettura e commissari liquidatori.
Il nodo della protesta non è stato sciolto, alla domanda “cosa chiederete a quel tavolo?” i sindacalisti hanno glissato, la tensione dei lavoratori non si è sciolta.


Tra soli due giorni ci sarà la nomina del commissario liquidatore del consorzio e la quasi certezza è che questo servizio non sarà più pubblico ma privatizzato.

Stamattina quelli che hanno sfilato hanno chiesto un “Servizio pubblico e gratuito per tutti” che può sembrare utopico ma centra un punto fondamentale, l’azienda di trasporto cittadino, oltre a vivere, deve restare pubblica proprio perché anche il trasporto è un bene comune.

Lorenzo Moscariello

martedì 10 aprile 2012

I media e la pubblicità


Oggi più che mai la pubblicità è essenziale per la sopravvivenza dei mass media. Giornali
 come il manifesto e Liberazione ne stanno pagando le conseguenze

Nei paesi occidentali, dove il sistema economico è di tipo capitalistico, la pubblicità è la fonte di guadagno principale per i mezzi di comunicazione.

In La fabbrica del consenso, Noam Chomsky ed Edward S. Herman hanno spiegato che essa è “un potente meccanismo di indebolimento della stampa della classe lavoratrice”.

Oggi, le testate non riescono a coprire le spese attraverso la sola vendita dei loro giornali. Ciò le costringe ad aumentare il loro prezzo d’acquisto, che potrebbe abbassarsi solo grazie alla pubblicità.

Quest’ultima diventa fondamentale per la sopravvivenza dei mezzi di comunicazione e ciò, secondo i due studiosi, dà un enorme potere a chi la gestisce. Nel loro libro, i professori statunitensi hanno scritto che “sono le scelte degli inserzionisti a incidere sulla sopravvivenza e sulla prosperità dei media”.

Secondo Chomsky e Herman, “i media radicali e quelli della classe lavoratrice risentono anche di forme di discriminazione politica da parte degli inserzionisti, e ciò innanzitutto nel senso che l’allocazione delle risorse pubblicitarie privilegia le persone che hanno denaro da spendere. Ma va ricordato anche che molte aziende per principio si rifiutano di patrocinare sia i propri nemici ideologici sia coloro che, a loro giudizio, danneggiano i loro interessi”. 
 
In Italia, sono poche le persone che comprano i quotidiani. Secondo l’Istituto nazionale di statistica, “nel 2011, infatti, il 54,0 % della popolazione di 6 anni [d’età ; ndr] e più ha dichiarato di leggere il giornale almeno una volta alla settimana e tra questi i lettori assidui (che leggono il giornale almeno cinque giorni su sette) sono il 39,0 %”.

In una ricerca pubblicata nel 2010, l’Istat ha rilevato che “la televisione è il canale di informazione che in assoluto viene utilizzato di più (93,5%)”. La TV “è il canale informativo che, da solo o con altri canali, è presente nelle scelte di informazione più diffuse. Per il 23% dei cittadini che si informano di politica, inoltre, è anche l’unico”.

Internet (17,7 %), la radio (10,2 %) e la televisione (6,3 %) sono, secondo i dati raccolti dall’ente di ricerca pubblico italiano, i mezzi di comunicazione che, nel 2011, hanno usufruito di maggiore pubblicità. I quotidiani hanno subito un calo del -2,6%.


Se la pubblicità fosse distrubuita in maniera equa, forse molti media non rischierebbero la chiusura. Il governo italiano, secondo il mio modesto parere, dovrebbe intervenire il prima possibile affinché ciò non accada. Giornali come il manifesto e Liberazione possono sopravvivere solo grazie ai fondi statali e ai contributi dei loro lettori. In un paese democratico, lo Stato dovrebbe supportare sempre i media e garantire loro una distribuzione equa della pubblicità.


In Europa, la scomparsa dei prinicipali giornali di sinistra italiani non sarebbe un fenomeno unico nel suo genere. Chomsky e Herman hanno raccontato che ciò è avvenuto anche in Inghilterra, nel secondo dopoguerra: “la morte del Daily Herald, al pari di quella del News Chronicle e del Sunday Citizen, fu in larga misura il risultato del progressivo strangolamento economico prodotto dalla scarsità di introiti pubblicitari”.

La chiusura di Liberazione e di il manifesto recherebbe un duro colpo alla democrazia e al pluralismo dell’informazione in Italia. Molti lavoratori e una grossa fetta della sinistra italiana potrebbero non avere più la possibilità di leggere le opinioni e le idee dell’ala politica che li rappresenta. Una parte della cultura del nostro Paese potrebbe essere cancellata per sempre.

In Il mondo: sette pensieri nel 2003. La bandiera multicolore della resistenza, il Subcomandante Marcos ha scritto: “Una nazione senza cultura è un’identità senza volto, cioè senza occhi, senza naso, senza bocca (…) e senza cervello. Distruggere la cultura dell’’altro’ è la forma più efficace per eliminarlo”.

Le politiche economiche sull’editoria del governo Berlusconi, prima, e Monti, poi, potrebbero essere in conflitto con la Costituzione italiana. L’articolo 21 asserisce, infatti, che “tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione”.
Per motivi politici ed economici, in futuro, non tutti gli italiani potrebbero avvalersi di questo diritto.

Vincenzo Iannone

giovedì 5 aprile 2012

Art.18: un giorno di firme a Pastena, Salerno


Mercoledì 4 aprile le compagne ed i compagni del circolo Salerno-Est del PRC hanno promosso la raccolta firme per salvare l’articolo18.
Sono state raccolte 162 firme in un pomeriggio, che, unite a quelle già raccolte, superano le 250.
La campagna nazionale per impedire la manomissione, anche parziale, dell’art.18 continua spedita. Tutti quelli che hanno firmato condividono la nostra preoccupazione verso la riforma del lavoro del ministro Fornero. Così concepita questa riforma è un ulteriore stangata alla classe lavoratrice, un ulteriore e umiliante compromesso al ribasso subito dalle lavoratrici e dai lavoratori già pressati dai continui sacrifici. Gli stessi lavoratori e lavoratrici che hanno dovuto subire la riforma delle pensioni e l’aumento delle tasse dirette e indirette.
Queste firme non solo chiedono che non venga toccato l’art.18 ma che questo diritto venga esteso e che si esca dalla piaga sociale della precarietà.
Il circolo Salerno-Est continuerà a promuovere la petizione, sul blog vi informeremo dei prossimi appuntamenti.
Ricordiamo a tutti che la petizione può essere firmata anche online al sito: www.federazionedellasinistra.com


Durante il banchetto è capitato che:

Alcun* ci hanno ignorato, uno ha urlato di voler licenziare Monti, un altro ha discorso sui Briganti, qualcun* si è lasciato convincere, molt* altr* erano già convint*, qualcun* ci ha ringraziato ma non ha firmato.
Abbiamo spiegato spesso per cosa lottavamo, spesso sono stat* d’accordo con noi.
Molte volte si è ricorso a insulti e improperi soprattutto ai danni del Governo, spesso non abbiamo neanche dovuto istigarl*.
Molt* sono stat* gentili, altr* paraculo ed altr* ancora scortesi.

In ogni caso grazie a tutt*



martedì 3 aprile 2012

Agropoli si tinge di rosso


Rifondazione Comunista presenta la lista della sinistra d'alternativa ad Agropoli, il segretario del circolo del paese cilentano, Antonio De Concilis, entra in gioco con la sua candidatura a sindaco.
Dopo anni di cementificazione brutale e scellerata a firma Alfieri, Rifondazione tenta di espugnarne il feudo.
A capo della lista il compagno Mario Zinna, nome di battaglia "Pugno", classe '26, partigiano della resistenza antifascista della provincia di Salerno.

Rifondazione Comunista ad Agropoli ha già raggiunto il suo primo risultato, presentare la lista.
Ora abbiamo bisogno di tutta la popolazione della Perla del Cilento per vincere la nostra battaglia ed allargare le crepe nelle mura dell'amministrazione uscente.


Agitatevi perché avremo bisogno di tutto il vostro entusiasmo.
Organizzatevi perché abbiamo bisogno di tutta la vostra forza.
                                                                                    [Antonio Gramsci]