sabato 14 aprile 2012

Le origini del conflitto israelo-palestinese



Il conflitto Israelo-Palestinese trova le sue origini in due eventi principali: la nascita del sionismo e la fine dell'impero Ottomano.
Il Sionismo è un movimento politico che nasce alla fine dell'800 e che vede come fondatore Theodor Herzl, giornalista ungherese, l'obiettivo era di dare una nazione al popolo ebraico (inizialmente erano diverse le possibili destinazioni) e per realizzarlo si cercavano sponde tra le potenze occidentali. Attraverso il Congresso Sionista Mondiale, il Fondo Nazionale Ebraico e l'Agenzia Ebraica, Herzl finanziò ed organizzò sia i flussi migratori di ebrei in Palestina (aliyot) sia l'acquisizione dei terreni per gli insediamenti. Il primo flusso(aliyah) avvenne nel 1882 e non fu organizzato dal Congresso Sionista, mentre la seconda aliyah (che va dal 1904 al 1914) fu organizzata dal Congresso e vide l'arrivo in Palestina di ebrei ashkenaziti, provenienti dall'Europa orientale, che successivamente diventeranno i cosiddetti  "padri della patria", tra cui Ben Gurion. Questi nuovi insediamenti erano organizzati in "kibbutz", piccole comunità autonome basate sulla collettivizzazione della terra e con un proprio sistema di autodifesa. Non erano ancora visti come un vero e proprio pericolo mentre le cose cambieranno radicalmente con l'arrivo dei ceti medi e dell'alta borghesia, che porteranno ad una nuova teorizzazione del sionismo, cardine dell'attuale destra israeliana.

Nel frattempo, nei territori limitrofi, erano nati diversi movimenti che volevano il distaccamento dall'impero Ottomano, dove, britannici e francesi da una parte fomentavano le rivolte con false promesse (come la creazione di un grande Stato Arabo indipendente formato da tutte le ex provincie ottomane) e dall'altra chiudevano l'accordo Sykes-Picot, che tracciava le linee della spartizione del Medio Oriente tra le due potenze. La Francia avrebbe ricevuto il mandato sulla Siria (Libano compreso) e la Gran Bretagna su Iraq e Palestina.
L'accordo Sykes-Picot(ufficializzato con la Conferenza di Sanremo) e la conseguente dissoluzione dell'idea di un grande Stato Arabo formato da tutte le ex provincie ottomane, rappresentarono un ulteriore passo avanti per il movimento sionista nel dialogo con le potenze occidentali. Infatti la "dichiarazione di Balfour"(Segretario per gli Affari Esteri Britannico) nel 1917, inviata al presidente onorario della Federazione Sionista, affermava che il governo Britannico vedeva con favore la fondazione in Palestina di un "focolare nazionale per il popolo ebraico", con l'obiettivo di occupare la Palestina per sottrarla al controllo della Francia nella spartizione del Medio Oriente da parte delle potenze europee. Tale dichiarazione rientrava tra gli obblighi della Gran Bretagna per ottenere il mandato sulla Palestina.

In questo contesto avviene la divisione dei territori della stessa in due "stati", uno ad est del Giordano ed uno ad ovest. Appare chiaro come il popolo Palestinese sia vittima di un vero e proprio "Risiko" giocato sulla sua pelle, le ripercussioni si avvertono soprattutto nel campo sociale ed economico dove la differenza di reddito tra le due diverse comunità (circa il doppio quello della comunità ebraica rispetto alla palestinese) e i continui flussi migratori diedero vita ad una serie di sommosse tra gli anni '20 e '30 che portarono ad una prima forma di guerriglia organizzata ad opera dello sceicco Al Qassam. Si avvertiva quindi la necessità di dare una connotazione politica alla lotta e questo percorso portò alla costituzione, nel 1932, dell'Istiqlal, il partito dell'indipendenza araba, per mano dello stesso Al Qassam. Lo scenario muta notevolmente, l'ostilità verso il mandato britannico e verso nuovi flussi migratori portarono ad uno sciopero generale ad oltranza e a quella che fu la Grande Rivolta Araba del 1936-39, molto diversa dai precedenti moti di rivolta in quanto frutto di quella carica politica che porterà a mettere in discussione l'intera borghesia Palestinese.
L'aspetto più interessante che la rivolta mostrò fu proprio l'intolleranza mostrata nei confronti del notabilato arabo, reo di collaborare con gli inglesi, che ne uscì notevolmente indebolito e perse il controllo che aveva sul popolo palestinese. Il notabilato palestinese era stato anche in passato uno dei principali ostacoli per la costruzione di un movimento organizzato (anche per screzi interni tra famiglie) e le rivendicazioni di classe che la Grande Rivolta portava con sè misero seriamente in discussione la classe dirigente palestinese, individuandola come nemico al pari dei britannici.
Anche lo scenario Sionista stava subendo delle mutazioni, l'arrivo dei ceti medi e il conseguente sviluppo del Sionismo revisionista portarono ad una radicalizzazione violenta del conflitto, non è casuale la nascita nel 1931 dell'Irgun, braccio armato del Sionismo Revisionista, che si macchiò di una serie di uccisioni di arabi soprattutto tra il '37 e il '39.

 La situazione cominciava a diventare davvero complessa da gestire e la reazione britannica non si fece attendere, da una parte l'Alto commissario britannico dichiarò fuorilegge tutte le associazioni arabe di Palestina e dall'altra con il Libro Bianco di Mac Donald nel '39 ci furono restrizioni nei confronti dell'immigrazione ebraica. Il tentativo di "ripristinare l'ordine" da parte della potenza mandataria ebbe un risultato nefasto, dato che la risposta Sionista al Libro Bianco fu la creazione di un ente che si occupasse dell'immigrazione clandestina, il Mossad. I rapporti tra britannici e sionisti migliorarono notevolmente quando tra il 1940 e il 1945 gli ebrei di Palestina si unirono alle forze alleate per combattere la Germania mentre il muftì di Gerusalemme(scappato in Germania) si unì con le sue truppe all'esercito nazista.
Si apriva così il percorso che portava verso la nascita dello Stato d'Israele e verso la spirale di violenza che vede il popolo Palestinese come vera e unica vittima in un cerchio di fuoco che vede i sionisti, l'occidente e la classe dirigente locale come protagonisti.

Leo Canale

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