Oggi
più che mai la pubblicità è essenziale per la sopravvivenza dei mass media.
Giornali
come il manifesto e Liberazione ne stanno pagando le
conseguenze
Nei
paesi occidentali, dove il sistema economico è di tipo capitalistico, la
pubblicità è la fonte di guadagno principale per i mezzi di comunicazione.
In
La fabbrica del consenso, Noam Chomsky ed Edward S. Herman hanno spiegato che essa è “un potente meccanismo
di indebolimento della stampa della classe lavoratrice”.
Oggi,
le testate non riescono a coprire le spese attraverso la sola vendita dei loro
giornali. Ciò le costringe ad aumentare il loro prezzo d’acquisto, che potrebbe
abbassarsi solo grazie alla pubblicità.
Quest’ultima
diventa fondamentale per la sopravvivenza dei mezzi di comunicazione e ciò,
secondo i due studiosi, dà un enorme potere a chi la gestisce. Nel loro libro,
i professori statunitensi hanno scritto che “sono le scelte degli inserzionisti
a incidere sulla sopravvivenza e sulla prosperità dei media”.
Secondo
Chomsky e Herman, “i media radicali e quelli della classe lavoratrice
risentono anche di forme di discriminazione politica da parte degli
inserzionisti, e ciò innanzitutto nel senso che l’allocazione delle risorse
pubblicitarie privilegia le persone che hanno denaro da spendere. Ma va
ricordato anche che molte aziende per principio si rifiutano di patrocinare sia
i propri nemici ideologici sia coloro che, a loro giudizio, danneggiano i loro
interessi”.
In
Italia, sono poche le persone che comprano i quotidiani. Secondo l’Istituto
nazionale di statistica, “nel 2011, infatti, il 54,0 % della popolazione di 6
anni [d’età ; ndr] e più ha
dichiarato di leggere il giornale almeno una volta alla settimana e tra questi
i lettori assidui (che leggono il giornale almeno cinque giorni su sette) sono
il 39,0 %”.
In
una ricerca pubblicata nel 2010, l’Istat ha rilevato che “la televisione è il
canale di informazione che in assoluto viene utilizzato di più (93,5%)”. La TV
“è il canale informativo che, da solo o con altri canali, è presente nelle
scelte di informazione più diffuse. Per il 23% dei cittadini che si informano
di politica, inoltre, è anche l’unico”.
Internet
(17,7 %), la radio (10,2 %) e la televisione (6,3 %) sono, secondo i dati
raccolti dall’ente di ricerca pubblico italiano, i mezzi di comunicazione che,
nel 2011, hanno usufruito di maggiore pubblicità. I quotidiani hanno subito un
calo del -2,6%.
Se la pubblicità fosse distrubuita in
maniera equa, forse molti media non rischierebbero la chiusura. Il governo
italiano, secondo il mio modesto parere, dovrebbe intervenire il prima
possibile affinché ciò non accada. Giornali come il manifesto e Liberazione
possono sopravvivere solo grazie ai fondi statali e ai contributi dei loro
lettori. In un paese democratico, lo Stato dovrebbe supportare sempre i media e
garantire loro una distribuzione equa della pubblicità.
In Europa, la scomparsa dei prinicipali giornali di sinistra italiani non sarebbe un fenomeno unico nel suo genere. Chomsky e Herman hanno raccontato che ciò è avvenuto anche in Inghilterra, nel secondo dopoguerra: “la morte del Daily Herald, al pari di quella del News Chronicle e del Sunday Citizen, fu in larga misura il risultato del progressivo strangolamento economico prodotto dalla scarsità di introiti pubblicitari”.
La
chiusura di Liberazione e di il manifesto recherebbe un duro colpo
alla democrazia e al pluralismo dell’informazione in Italia. Molti lavoratori e
una grossa fetta della sinistra italiana potrebbero non avere più la
possibilità di leggere le opinioni e le idee dell’ala politica che li
rappresenta. Una parte della cultura del nostro Paese potrebbe essere
cancellata per sempre.
In
Il mondo: sette pensieri nel 2003. La
bandiera multicolore della resistenza, il Subcomandante Marcos ha scritto: “Una nazione senza cultura è un’identità
senza volto, cioè senza occhi, senza naso, senza bocca (…) e senza cervello.
Distruggere la cultura dell’’altro’ è la forma più efficace per eliminarlo”.
Le
politiche economiche sull’editoria del governo Berlusconi, prima, e Monti,
poi, potrebbero essere in conflitto con la Costituzione italiana. L’articolo 21
asserisce, infatti, che “tutti hanno diritto di manifestare liberamente il
proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione”.
Per
motivi politici ed economici, in futuro, non tutti gli italiani potrebbero
avvalersi di questo diritto.
Vincenzo
Iannone
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