martedì 10 aprile 2012

I media e la pubblicità


Oggi più che mai la pubblicità è essenziale per la sopravvivenza dei mass media. Giornali
 come il manifesto e Liberazione ne stanno pagando le conseguenze

Nei paesi occidentali, dove il sistema economico è di tipo capitalistico, la pubblicità è la fonte di guadagno principale per i mezzi di comunicazione.

In La fabbrica del consenso, Noam Chomsky ed Edward S. Herman hanno spiegato che essa è “un potente meccanismo di indebolimento della stampa della classe lavoratrice”.

Oggi, le testate non riescono a coprire le spese attraverso la sola vendita dei loro giornali. Ciò le costringe ad aumentare il loro prezzo d’acquisto, che potrebbe abbassarsi solo grazie alla pubblicità.

Quest’ultima diventa fondamentale per la sopravvivenza dei mezzi di comunicazione e ciò, secondo i due studiosi, dà un enorme potere a chi la gestisce. Nel loro libro, i professori statunitensi hanno scritto che “sono le scelte degli inserzionisti a incidere sulla sopravvivenza e sulla prosperità dei media”.

Secondo Chomsky e Herman, “i media radicali e quelli della classe lavoratrice risentono anche di forme di discriminazione politica da parte degli inserzionisti, e ciò innanzitutto nel senso che l’allocazione delle risorse pubblicitarie privilegia le persone che hanno denaro da spendere. Ma va ricordato anche che molte aziende per principio si rifiutano di patrocinare sia i propri nemici ideologici sia coloro che, a loro giudizio, danneggiano i loro interessi”. 
 
In Italia, sono poche le persone che comprano i quotidiani. Secondo l’Istituto nazionale di statistica, “nel 2011, infatti, il 54,0 % della popolazione di 6 anni [d’età ; ndr] e più ha dichiarato di leggere il giornale almeno una volta alla settimana e tra questi i lettori assidui (che leggono il giornale almeno cinque giorni su sette) sono il 39,0 %”.

In una ricerca pubblicata nel 2010, l’Istat ha rilevato che “la televisione è il canale di informazione che in assoluto viene utilizzato di più (93,5%)”. La TV “è il canale informativo che, da solo o con altri canali, è presente nelle scelte di informazione più diffuse. Per il 23% dei cittadini che si informano di politica, inoltre, è anche l’unico”.

Internet (17,7 %), la radio (10,2 %) e la televisione (6,3 %) sono, secondo i dati raccolti dall’ente di ricerca pubblico italiano, i mezzi di comunicazione che, nel 2011, hanno usufruito di maggiore pubblicità. I quotidiani hanno subito un calo del -2,6%.


Se la pubblicità fosse distrubuita in maniera equa, forse molti media non rischierebbero la chiusura. Il governo italiano, secondo il mio modesto parere, dovrebbe intervenire il prima possibile affinché ciò non accada. Giornali come il manifesto e Liberazione possono sopravvivere solo grazie ai fondi statali e ai contributi dei loro lettori. In un paese democratico, lo Stato dovrebbe supportare sempre i media e garantire loro una distribuzione equa della pubblicità.


In Europa, la scomparsa dei prinicipali giornali di sinistra italiani non sarebbe un fenomeno unico nel suo genere. Chomsky e Herman hanno raccontato che ciò è avvenuto anche in Inghilterra, nel secondo dopoguerra: “la morte del Daily Herald, al pari di quella del News Chronicle e del Sunday Citizen, fu in larga misura il risultato del progressivo strangolamento economico prodotto dalla scarsità di introiti pubblicitari”.

La chiusura di Liberazione e di il manifesto recherebbe un duro colpo alla democrazia e al pluralismo dell’informazione in Italia. Molti lavoratori e una grossa fetta della sinistra italiana potrebbero non avere più la possibilità di leggere le opinioni e le idee dell’ala politica che li rappresenta. Una parte della cultura del nostro Paese potrebbe essere cancellata per sempre.

In Il mondo: sette pensieri nel 2003. La bandiera multicolore della resistenza, il Subcomandante Marcos ha scritto: “Una nazione senza cultura è un’identità senza volto, cioè senza occhi, senza naso, senza bocca (…) e senza cervello. Distruggere la cultura dell’’altro’ è la forma più efficace per eliminarlo”.

Le politiche economiche sull’editoria del governo Berlusconi, prima, e Monti, poi, potrebbero essere in conflitto con la Costituzione italiana. L’articolo 21 asserisce, infatti, che “tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione”.
Per motivi politici ed economici, in futuro, non tutti gli italiani potrebbero avvalersi di questo diritto.

Vincenzo Iannone

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